mercoledì 4 luglio 2012

QUANDO LE PERCEZIONI DIVENTANO REALTA’

STORIA E POLITICA

 
QUANDO LE PERCEZIONI DIVENTANO REALTA’
di Fabio Bertinetti

Gli storici amano periodizzare. Amano individuare delle date (o degli eventi) che caratterizzano un’era , piuttosto che un periodo storico.  Non è un vezzo da snob o una liturgia osservata inconsapevolmente, ma un esercizio indispensabile per poter meglio  analizzare i meccanismi della storia. Periodizzare permette di applicare una riduzione cartesiana che scomponga il flusso continuo degli eventi e consente di fissare un momento . Una volta fissato tale momento si potrà capire il prima e il dopo e, come quei giochi di enigmistica, unire i punti con una linea che arrivi fino al presente.
L’11 settembre 2001 è uno di quei momenti. Non sappiamo se sarà una data unanimemente accettata come cesura periodizzante, ma  è molto importante per capire come la geopolitica del presente si sia fusa con quella del passato, e quali siano state le conseguenze di tali fusioni.

I QUATTRO CAVALIERI DELL’APOCALISSE

La fine degli anni ’80 del secolo scorso ha rappresentato un vero e proprio periodo di svolta della geopolitica. Dopo oltre 40 anni di divisione politico-ideologica e militare dell’Europa, si è giunti (in modo inaspettato) al termine di quel conflitto latente, ma invasivo, denominato Guerra Fredda. Un conflitto che non si è combattuto sui fronti Europei, ma che è stato ben presto internazionalizzato rappresentando la causa principale della maggior parte delle guerre  che si sono combattute dal  Sud Est asiatico all’ America Latina.
Dopo il novembre dell’89, con la caduta del muro di Berlino, è iniziata a venir meno quella divisione a blocchi, tanto rischiosa per l’incolumità dell’intero pianeta, quanto rassicurante in termini geopolitici: chiunque aveva il suo nemico da ostacolare.  In assenza di una delle due superpotenze fu inevitabile che i “vincitori” si trovassero indecisi tra lo smobilitare o il comprendere se realmente vi fossero rimaste minacce che potessero giustificare la loro supremazia.
In tale panorama  di incertezze si diede molto credito a quattro diverse tesi “geopolitiche” prodotte da quelli che scherzosamente definiremo “I quattro cavalieri dell’Apocalisse”.

1)    Francis Fukuyama.
“Cio a cui stiamo assistendo non è soltanto la fine della Guerra Fredda, o la conclusione di un particolare periodo della storia del Dopoguerra: noi stiamo assistendo al momento finale di un’evoluzione ideologica dell’umanità intera e all’universalizzazione della democrazia liberale come forma di governo della società umana (Francis Fukuyama -La fine della storia –pag3)”

La tesi del politologo americano era quella che postulava il trionfo del modello liberale occidentale come unico possibile. Riprendendo Hegel , individuava nell’occidente liberale e democratico lo “stato omogeneo universale” che il filosofo tedesco aveva percepito nella costruzione politica Napoleonica.
Da tale assunto emergono poi una serie di considerazioni che portano l’autore ad asserire che:
"non ci sono più conflitti o dure battaglie che riguardano grandi temi, grandi questioni generali  e,in conseguenza di ciò,  non ‘è più bisogno né di generali né di uomini di stato; ciò che rimane ricade essenzialmente nella sfera dell’economia”.  (ididem, p.6)
Fukuyama ha prodotto così il primo dei mattoni che costruiranno un nuovo muro: quello che nel decennio successivo inizierà a formare una netta separazione tra ciò che è democrazia e ciò che non lo è, individuando in questa artificiosa alterità un avversario da combattere.
Sia chiaro che non erano certo queste le intenzioni di Francis Fukuyama, ma la popolarità del suo scritto ha reso l’occidente “prigioniero” di una realtà che sarà manipolata: “la democrazia come modello”.

2)    Samuel Huntington.
Nel 1993, sulla celebre rivista “Foreign Affairs”  venne pubblicato un articolo dal titolo “The clash of civilization” (lo scontro di civiltà) a firma, appunto, di Samuel Huntington un intellettuale “di stato”, tra le altre cose coordinatore della pianificazione della sicurezza per in National Security Council  alla fine degli anni Settanta.
Con questo suo articolo, poi ripreso ed elaborato in una opera più vasta, l’autore identifica nove distinte civiltà: Occidentale, Cristiana orientale (ortodossa), Latino-americana (distinta da quella occidentale), Islamica, Indù, Cinese, Giapponese, Buddista, Africana. Dopo aver fatto ciò precisa che le tensioni ed i conflitti si sarebbero palesati lungo le linee di faglia tra le civiltà e che, appunto, il futuro sarebbe stato caratterizzato dallo scontro tra queste nuove entità politiche. Riproducendo in altri spazi i conflitti dei passati stati-nazione.  Nello sviluppo della sua tesi, Huntington,  sottolinea anche che le singole civiltà hanno delle specifiche identità e differenze piuttosto radicate ed inconciliabili, al punto di essere meno inclini a piegarsi al compromesso. E’ evidente che da ciò emerga una preoccupante situazione geopolitica ove il rischio di scoppio dei conflitti è piuttosto alto.

Samuel  Huntington  teorizza un panorama non così “sicuro” come quello postulato da Fukuyama, ma rappresenta il secondo mattone nel muro delle separazioni, quello che riguarda “The west against the rest”, l’occidente contro tutti, prolungando nel futuro le dinamiche da guerra fredda.

3)     Robert Kaplan.
“The coming anarchy” è il titolo dell’articolo apparso sulla rivista americana “Atlantic Monthly” nel febbraio del 1994, a firma del giornalista Robert Kaplan. Gia dal titolo si individua il messaggio di forte insicurezza geopolitica che si inserirà con estrema facilità nel puzzle iniziato da Fukuyama e Huntington. Possiamo tradurlo con “L’incombente Anarchia” e comprendendo che anche in italiano ha il medesimo risultato.  I presupposti dai quali l’autore parte sono anche condivisibili: sviluppo demografico, deforestazione, malattie, innalzamento del livello del mare, inquinamento, stress idrico ed altre catastrofi più o meno naturali, nelle regioni meno sviluppate, produrranno migrazioni di massa che, inevitabilmente, rappresenteranno delle tensioni.  Da ciò: “..Nel  mondo in via di sviluppo, lo stress ambientali porrà la gente di fronte ad una rosa di scelte politiche  sempre più limitate, che andranno dal totalitarismo (come in Iraq), alla propensione verso il fascismo degli stati minori (come la Bosnia serba), alla cultura dei Signori della Guerra (come in Somalia)”.(Kaplan 1994, p 55)
Ed ancora: “la fine della Guerra Fredda porterà con sé un crudele processo di selezione naturale tra gli Stati esistenti oggi”.(Ibidem)
Da ciò l’autore desume che, in mancanza di una cultura liberale, democratica di stampo occidentale (civiltà), i paesi meno sviluppati troveranno  più conveniente combattersi che non ricercare forme alternative per la risoluzione dei conflitti o delle tensioni.  Nelle pagine successive fa anche più, affermando che:”La presenza di organismi caratterizzati da una struttura oscura e instabile, a maglie larghe e a geometrie variabili, come quella delle organizzazioni terroristiche islamiche, spiega perché i confini tradizionali conteranno sempre meno, mentre le stratificazioni sedimentate dalle diverse identità tribali e le loro rispettive forme di controllo diventeranno invece sempre più rilevanti”. (Kaplan 1994, p 70).
 Quindi la minaccia dell’anarchia non è solo per e nei paesi ove nasce e si sviluppa, ma è rivolta anche oltre tali confini. Assume la forma di un conflitto de-territorializzato che, improvvisamente, minaccia tutti noi.
Ecco che si può gia iniziare a tirare un filo tra i tre punti  indicati: Dopo la fine della guerra fredda l’unico valore è la democrazia liberale di stampo occidentale, anche se non esiste più l’impero del male (L’Urss definita da Regan) vi sono delle situazioni di tensione tra civiltà, apparentemente irrisolvibili viste le differenze radicali ed inconciliabili (non siamo noi violenti, sono loro che non capiscono); ed infine il messaggio dirompente:  visto che prima o poi loro verranno da noi e ci minacceranno seriamente (de-territorializzazione), forse è meglio che l’occidente reagisca ed esporti  la democrazia: unico modello vincente.

Siamo quasi alla dottrina di attacco preventivo. Manca solo l’ultimo cavaliere dell’apocalisse. Mancano le tesi di colui che permetterà la giustificazione dell’unilateralismo di George W.Bush.

4)    Robert Kagan
Penso che nulla meglio di una bella citazione possa sintetizzare il pensiero di Kagan. Anch’egli scrive un articolo (e poi un libro, come gli altri tre autori).  Nel 2002 Kagan sostiene che:
“E’ ora di smettere di fingere che gli europei e gli americani condividano una comune visione del mondo, o addirittura che vivano nello stesso mondo. In tutte le questioni importanti che riguardano il potere –l’efficacia del portere, la moralità del potere, la desiderabilità del potere – americani ed europei sposano prospettive assolutamente divergenti. L’Europa sta infatti voltando le spalle al potere, o per dirla con altre parole, sta andando oltre le questioni  che riguardano il potere per entrare in un mondo autoreferenziale fatto di leggi e regole, di negoziazione e cooperazione transnazionale. L’Europa sta entrando in un paradiso post-storico di pace e relativa prosperità, realizzando quella che Kant chiamava la ‘Pace Perpetua’. Gli Stati Uniti, nel frattempo, rimangono impantanati nella storia, costretti a esercitare il loro potere in un mondo hobbesiano nel quale le leggi e le regole internazionali sono inaffidabili e dove la vera sicurezza, la vera difesa e la promozione dell’ordine liberal democratico dipendono ancora dal possesso e dall’uso della potenza militare” (Kagan 2002, p. 1).
Unendo tutti e quattro i puntini abbiamo la perfetta base di partenza per la dottrina di attacco preventivo che nel marzo 2003 porterà gli Stati Uniti d’America ad attaccare L’Iraq. Il libro che Kagan ha pubblicato nel 2002 si intitola: ”Paradise and Power: America and Europe in the New World Order” , ove la potenza è quella militare che, inevitabilmente, gli Stati Uniti sono costretti ad esercitare (loro malgrado?), mentre il paradiso è lo stato ideale in cui vivono gli Europei, convinti che saranno sempre tutelati dalle loro leggi e che sia per cultura, sia per paura non si decidono ad utilizzare la forza per gestire il nuovo ordine mondiale.
Nel testo di Kagan vi sono altri passaggi interessanti, ma riteniamo che quello citato sia più che sufficiente per tirare le somme.


PER  CONCLUDERE

Ritornando all’11 settembre, vediamo come quel terribile evento sia stato un innesco perfetto,  nella deflagrazione geopolitica degli ultimi 10 anni. La cosiddetta guerra al terrore (Afganistan), asimmetrica e de-territorializzata, non sarebbe stata possibile da giustificare senza la produzione ideologica appena citata, e neppure l’attacco all’ Iraq (ove il motivo ufficiale fu il possesso delle armi di distruzione di massa, oltre all’appoggio dato al terrorismo internazionale), sarebbe stato possibile senza la struttura ideologica unita all’attentato alle Twin Towers. In entrambi gli interventi armati ricorrono i principi di: esportazione del modello occidentale (Fukuyama), culture inconciliabili (Huntington), presenza di anarchia o di regime autoritario (Kaplan), necessità che gli USA si facciano carico da soli della guerra, almeno nella fase dell’entrata in teatro. (Kagan)

In definitiva appare chiaro come le singole percezioni di 4 autori diverse, siano diventate una realtà geopolitica che a molti sembra “naturale ed inevitabile”, ma che se analizzata anche solo superficialmente mostra in pieno i suoi segni di artificiosità.



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