mercoledì 19 agosto 2020

L’IMPERATRICE DI BISANZIO


di Raimondo Farese



Gli inizi


Quando nell’anno 780 l’imperatore bizantino Leone IV morì prematuramente, salì al trono il figlio Costantino VI all’età di soli 10 anni.

Chiaramente il ragazzo non sarebbe stato in grado di condurre un impero vasto e denso di complicazioni come quello che aveva ricevuto in eredità, quindi la madre Irene ne assunse la co-reggenza. 

Come spesso succedeva negli affari di stato bizantini, prontamente un usurpatore ( Niceforo il fratello di Leone IV) si fece avanti rivendicando il trono imperiale, ma Irene reagì con energia schiacciando la ribellione e costringendo i fratelli del suo defunto marito a farsi preti.

Pur non essendo ancora un’imperatrice a pieno titolo, Irene, aveva ben chiare quelle che dovessero essere le priorità della sua gestione e, innanzitutto, decise di restaurare il culto delle icone.

Ormai da mezzo secolo il sistema iconoclasta dominava lo scenario religioso (e anche politico trattandosi di Bisanzio), riproponendo in una diversa chiave la polarizzazione dei secoli precedenti tra monofisismo e duotelismo.  Le più importanti cariche dello Stato e della Chiesa erano in mano a sostenitori del divieto di riprodurre immagini religiose, sopratutto gran parte dell’esercito che era ancora legato alla memoria di un grande Imperatore, Costantino V, campione assoluto dell’iconoclastia, avrebbe posto resistenze determinanti se il culto delle icone fosse stato ripristinato in modo improvviso.

Innanzitutto, Irene, attese ben quattro anni per iniziare i preparativi, successivamente iniziò a muovere le sue pedine sulla pericolosa scacchiera del panorama politico-religioso di Costantinopoli e :

  1. riuscì ad ottenere le dimissioni del Patriarca di Costantinopoli Paolo
  2. con l’appoggio del popolo nominò un nuovo Patriarca ( il proprio Segretario Tarasio)
  3. fece convocare da Tarasio un nuovo concilio ecumenico per poter revocare le risoluzioni iconoclastiche del precedente.


Sicuramente un buon inizio, però in breve tempo il panorama politico iniziò a complicarsi.

Appena aperti i lavori a Costantinopoli, un reparto delle forze militari di stanza nella capitale irruppe nella chiesa dei Santi Apostoli, ove si teneva il concilio, ed interruppe i lavori, tra le grida di terrore dei sacerdoti iconoduli e di giubilo di quelli iconoclasti.


Irene non si lasciò scoraggiare. Era evidente che i timori iniziali fossero fondati e che quindi era necessario procedere con ulteriore cautela per la risoluzione della controversia.

Con la scusa di una campagna militare da sostenere contro gli arabi, l’imperatrice trasferì il reparto ribelle verso i confini orientali, assegnando alla difesa della capitale le truppe iconodule della Tracia.


Il concilio venne nuovamente convocato e si tenne a Nicea, sede del primo concilio ecumenico di 362 anni prima. Il 23 ottobre del 787 l’iconoclastia venne condannata come eresia permettendo così la ripresa delle adorazioni delle immagini sacre. 

Una dura contesa sembrava così conclusa, ma degli imprevedibili strascichi complicarono i rapporti con il figlio Costantino VI.


Il figlio


Il giovane imperatore sembrava soffrire la tutela dell’imperatrice madre e a questa frustrazione si sommarono le istanze iconoclaste ancora affatto sopite. Fu proprio con il tramite del figlio che i partigiani dell’iconoclastia entrarono in conflitto con l’Imperatrice Irene, la quale tentò di ristabilire appieno la propria autorità tramite un giuramento di fedeltà delle truppe imperiali.  Evidentemente non fece bene i propri calcoli perché grazie alla resistenza delle forze del “tema” armeno, l’esercito non solo non giurò fedeltà ad Irene, ma nominò Autocrate Costantino VI, costringendo l’ormai ex co-reggente ad abbandonare il palazzo imperiale.


L’evidenza che l’imperatrice avesse dei collaboratori molto abili nel negoziare e convincere, si riscontra anche nella capacità di persuadere Costantino VI a consentirne il ritorno. Nel 792, dopo due anni di esclusione dalle scene politiche, Irene tornava “in sella” a tutti gli effetti al punto che anche nell’ufficialità della corte vigeva la vecchia formula: “Costantino e Irene”.  


Nel frattempo era stato il giovane Imperatore ad avere dei problemi politici. Sempre nel

 792 subì una pesante sconfitta in battaglia ad opera dei Bulgari e fu costretto a reprimere una cospirazione con ferocia estrema, facendo cavare gli occhi al Cesare Niceforo (il cospiratore) e la lingua agli altri fratelli di suo padre.  Inoltre accecò anche un generale del “tema” Armeno che in passato si era speso per supportarlo nella sua controversia con la madre.

Il tempo non migliorò le cose: una rivolta sedata nel sangue, una moglie ripudiata in favore dell’amante, monaci che contestavano la sua condotta adultera, scomunicati. 

Insomma l’Imperatore si diede da fare per inimicarsi ogni corpo del proprio impero, al punto che il 15 agosto del 797 venne fatto uccidere proprio su ordine di Irene a soli ventisette anni.


L’opera di governo


Il giudizio sul l’opera di governo dell’imperatrice Irene è piuttosto severo e forse anche condizionato da pregiudizi profondi sulla capacità di Irene in quanto donna. Il primo pregiudizio era dovuto al fatto che l’ufficio dell’imperatore bizantino fosse indissolubilmente legato a quello di comandante in capo dell’esercito, ambiente notoriamente conservatore. Il secondo pregiudizio nasceva dal fatto che in quanto donna non riuscisse a prescindere dagli intrighi.  In entrambi i casi però le accuse non sembrano particolarmente gravi. Nel primo caso occorre dire che la subalternità ai Bulgari e agli Arabi ( l’impero pagava tributi ad entrambi) erano da ascrivere a sconfitte subite in co-reggenza (con quella del 792 subita direttamente da  Costantino VI, come già raccontato), nel secondo caso non è stata certo l’imperatrice Irene a portare a Costantinopoli trame e intrighi, basta leggere la storia bizantina per assistere alla lunga teoria di complotti, assassinii, deposizioni ed esecuzioni.

Probabilmente Irene operò in senso populistico, come già successo con la nomina di Tarasio, per ottenere il favore di parte del popolo della capitale e di parte del clero legata ai monasteri. In entrambi i casi concesse sgravi fiscali sostanziosi anche a discapito delle finanze imperiali.


Nell’ 802, poco prima che gli ambasciatori di Carlo Magno consegnassero a Costantinopoli una proposta di matrimonio che avrebbe portato ad una riunione tra Oriente e Occidente, Irene venne deposta da una congiura di Palazzo e deportata nell’isola di Prinkipios e poi a Lesbo, dove morì poco dopo.

Nessun commento:

Posta un commento

ROMA, REPUBBLICA:VENITE! (I parte)

Queste le tre parole vergate da Goffredo Mameli (avete presente l’inno “Fratelli d’Italia?) in un telegramma inviato all’indirizzo “Felice C...