domenica 12 marzo 2023

I MAIALI L’OLTERRA E GLI UOMINI GAMMA



I MAIALI, L’OLTERRA E GLI UOMINI GAMMA


 di Fabio Bertinetti


Quando si pensa agli uomini della X Decima Flottiglia MAS viene in mente l’azione più eclatante che alcuni di loro riuscirono a portare a termine: l’incursione nel porto di Alessandria d’Egitto con l’affondamento delle Navi da Battaglia Valiant e Queen Elizabeth e della petroliera Sagona. In realtà, poi, la Valiant e la Queen Elizabeth non affondarono grazie al basso fondale, ma rimasero fuori combattimento per parecchi mesi.  L’azione di Alessandria ebbe un alto valore strategico che, se fosse stato meglio sfruttato dalla Regia Marina, avrebbe potuto anche cambiare le sorti della guerra navale in mediterraneo 10 mesi prima della battaglia di El Alamein….ma questa è un’altra storia.

La storia della X MAS non fu solo Alessandria, ma tante altre azioni. Alcune riuscite, altre meno. Cercheremo di raccontarne qualcuna, tanto per far capire lo spirito di innovazione e sperimentazione che pervadeva l’animo di questi “arditi del mare”

  

Gli inizi

 

In particolare le prime missioni non furono fortunate. Già nell’agosto del 1940 il sommergibile Iride venne affondato da un gruppo di aerosiluranti inglesi nel Golfo di Bomba al confine tra Libia ed Egitto. L’Iride era incaricato di trasportare alcuni SLC (Siluri a lenta corsa comunemente chiamati “maiali”) con relativi operatori per tentare il forzamento del porto di Alessandria d’Egitto. Proprio il momento in cui il sottomarino aveva ricevuto a bordo sia i mezzi che gli operatori della X MAS (trasportati sul posto dalla torpediniera Calypso) la formazione navale italiana venne scoperta da alcuni ricognitori inglesi e, successivamente, ingaggiata da tre aerosiluranti appositamente decollati. L’attacco affondò l’Iride e la nave appoggio Monte Gargano. 

Il fallimento dell’operazione non comportò scoramento e già il 30 ottobre dello stesso anno un SLC pilotato dal tenente di Vascello Gino Birindelli e avente per secondo il 2° Capo palombaro Paccagni , riuscì a superare le ostruzioni del porto militare di Gibilterra. Purtroppo a soli 50 metri dalla Nave da Battaglia Barham (che venne affondata l’anno successivo da un sommergibile tedesco) furono costretti a venire a galla a causa di un problema tecnico e non riuscirono a sfuggire alla cattura.  Anche in questo caso nessuna nave venne affondata, ma gli “arditi del mare” riuscirono a dimostrare che azioni del genere erano  possibili. Sarebbe stata solo questione di tempo e di lavoro sull’efficienza dei mezzi. Proprio l’efficienza dei mezzi, in quel momento, era l’elemento cruciale per consentire la riuscita delle missioni, al punto che nella alla stessa azione di Birindelli e Paccagni parteciparono altri due equipaggi e nessuno di loro riuscì a raggiungere il bersaglio. Tutti si videro costretti ad autoaffondare i loro maiali, riemergere per venire poi catturati. Nel maggio del 1941 si tentò un’altra operazione contro Gibilterra  e anche questa volta, causa un avaria agli autorespiratori, non si riuscì a raggiungere gli obiettivi.

Non passò molto tempo che, finalmente, gli uomini della “decima” riuscirono ad intrufolarsi nella base di Gibilterra ed affondare tre piroscafi. Era settembre e solo tre mesi dopo ebbe luogo la gloriosa azione di Alessandria d’Egitto.

Non vennero utilizzati solo i “maiali” per affondare le navi Inglesi, ma c’erano altri mezzi e altri metodi per infilarsi nei porti e colpire il nemico: I “barchini esplosivi”.   Non erano mezzi suicidi, come potrebbe sembrare, ma il loro utilizzo era comunque piuttosto pericoloso.  Erano dei motoscafi con velocità prossime ai 34 nodi e con una carica esplosiva sistemata a prua di circa 300kg.  Il suo utilizzo era piuttosto semplice: venivano trasportati nei pressi del bersaglio da una nave più grande (normalmente un cacciatorpediniere), si avvicinavano e quando erano alla giusta distanza venivano lanciati verso di esso a gran velocità dall’operatore che li governava.  Solo pochi secondi prima di collidere il pilota bloccava il timone e si lanciava verso poppa utilizzando un apposito salvagente. In questo modo si evitava di morire in azione, anche se in alcuni casi gli operatori di barchino esplosivo non sono riusciti a sfuggire ad un destino tragico.

 

Successi e insuccessi

 

La notte del 26 marzo del 1941 sei barchini esplosivi vennero rilasciati dai cacciatorpediniere Sella e Crispi nella vicinanza della Baia di Suda a Creta. Grazie alla particolare conformazione dello scafo riuscirono a superare agevolmente le ostruzioni portuali e si lanciarono contro tre navi: la petroliera Pericles, un trasporto truppe e l’incrociatore pesante York. Quest’ultima unità, in particolare, era piuttosto potente trattandosi di un incrociatore “tipo Washington” (rispettando i limiti imposti da tale trattato), armato con cannoni da 203 mm (il massimo per le navi di tale classificazione) e dal dislocamento di 10000 tonnellate a pieno carico.  In assoluto le navi più potenti escludendo le corazzate.  Unità in grado di minacciare seriamente i traffici marittimi da e verso la Libia.  Dopo l’azione gli operatori furono tutti fatti prigionieri, ma l’incrociatore York, pur non affondando, subì danni talmente seri da non rientrare mai più in servizio. 

 

Non tutte la azioni dei barchini esplosivi, però, riuscirono nel loro intento.  Una, in particolare, è ricordata per il pesantissimo tributo di sangue che richiese. Tributo non sufficiente a poter portare a compimento la missione.

Si tratta del tentativo di forzamento del porto di Malta per attaccare e distruggere quante più navi ormeggiate, in particolare i temuti sommergibili che, proprio dalla piccola isola, partivano per tendere agguati alle navi italiane sulla rotta di rifornimento per la Libia.

Il piano prevedeva la partecipazioni di circa 8 barchini esplosivi (anche definiti MTM), due MAS siluranti e due SLC.  Proprio uno dei due SLC si sarebbe dovuto avvicinare alle ostruzioni portuali per distruggerle con la sua potentissima carica. Successivamente un altro SLC e i barchini esplosivi sarebbero dovuti irrompere nel porto ed attaccare quanti più bersagli possibile.  Un vero e proprio attacco in massa coordinato, che richiese anche l’intervento di alcuni bombardieri in funzione diversiva.

Trattandosi di un attacco complesso il tutto doveva avvenire in stretto coordinamento, però a causa di problemi tecnici di alcuni mezzi, l’azione di distruzione delle ostruzioni portuali ritardò. Superato il termine previsto nessuna esplosione si era sentita, quindi il Capitano di Corvetta Giobbe ordinò a due MTM di lanciarsi contro le ostruzioni per aprire il varco. In tal modo pensava di sostituire l’azione dei barchini a quella dell’SLC pilotato da Teseo Tesei (comandante e fondatore della X MAS).  In realtà il mezzo di Tesei era ancora al lavoro e il ritardo non era dovuto all’uccisione o alla cattura di Tesei, ma ai problemi tecnici già illustrati.  Proprio il momento in cui i barchini colpirono le ostruzioni, anche l’SLC di Tesei esplose (probabilmente spolettato a tempo 0, cioè deliberatamente senza possibilità di scampo per l’equipaggio). A quel punto la reazione britannica si fece sentire e i cannoni iniziarono ad aprire il fuoco.  Ormai l’accesso al porto era ostruito dalle esplosioni dei due barchini e dell’SLC e da quel momento in poi ci fu un vero e proprio tiro al bersaglio contro le forze italiane.  Non solo. Anche alcuni caccia decollarono per attaccare le forze di supporto presenti qualche miglio più a largo. Ingaggiarono duelli aerei con i caccia Macchi C 200 che non riuscirono ad impedire ulteriori perdite agli italiani.

Al termine dell’azione oltre alla perdita di Teseo Tesei (medaglia d’oro alla memoria per quest’azione) morirono altri 14 operatori e si persero tutti i mezzi impiegati.  L’insuccesso dell’azione fu causato dalla complessità della stessa e dal fatto che gli inglesi erano già stati allertati dai sistemi radar presenti sull’isola, ai quali non era sfuggito il movimento di mezzi delle ore precedenti. Era il 26 luglio del 1941.

 

Uomini Gamma

 

Alle volte la semplicità è il miglior modo per portare a termine azioni difficili.  Come abbiamo visto i “Maiali” (SLC) erano soggetti ad avarie, e l’utilizzo dei barchini esplosivi non sempre garantiva il successo a causa del fatto che erano unità che si muovevano in superfice.

La specialità degli Uomini Gamma, invece, fu quella che in rapporto alle forze utilizzate, conseguì forse i risultati più brillanti. Nessuna azione, in realtà  raggiunse i risultati eclatanti di quella di Alessandria d’Egitto (affondamento di Valiant e Queen Elizabeth), ma numerosi mercantili furono attaccati e affondati.  Ma come operavano gli Uomini Gamma?  La G di gamma indicava la specialità di “Guastatori” ed erano dei subacquei che si avvicinavano ai bersagli senza particolari mezzi di trasporto e applicavano delle piccole cariche chiamate “cimici” o “mignatte” o delle cariche più potenti definite “valigette”. Avevano la particolarità di esplodere a distanza di tempo. Erano dotati di un’etichetta che entrava in funzione a velocità superiori a 5 nodi.  Dopo un certo numero di giri di elica (qualche migliaio) la carica esplodeva e ciò consentiva di affondare la nave non direttamente in porto, ma quando ormai si trovava in alto mare.  Nessuno avrebbe così pensato ad un’incursione, quanto piuttosto ad una mina o ad un siluro, alle volte, poi, consentiva di attaccare le navi in porti neutrali senza compromettere il rapporto diplomatico tra questi e l’Italia.

Un esempio d questo tipo di azioni fu l’operazione ( o meglio le operazioni) messe in atto da un solo uomo che nel corso di alcune settimane affondò tre piroscafi per circa 10000 tonnellate. Ai primi di giugno del 1943 il tenente Luigi Ferraro si presentò al console italiano di Alessandretta (in Turchia) munito di passaporto diplomatico, come addetto al consolato per compiti speciali. L’immunità diplomatica gli aveva consentito di portare nei suoi bagagli il corredo di uomo Gamma (compresi i bauletti esplosivi). Grazie ad una serie di coperture il tenente Ferraro (appartenente all’esercito in realtà ma arruolato nella X MAS) riuscì ad immergersi, attaccare dei piroscafi sia ad Alessandretta che nella vicina Mersin (porti di imbarco dei minerali di cromo destinati alla Gran Bretagna) e rientrare al consolato ogni volta. In un occasione non riuscì ad affondare il bersaglio per il malfunzionamento di uno dei due bauletti, ma negli altri casi le navi affondarono come da programma. Dopo aver terminato la scorta di bauletti, il 2 agosto del 1943, tornò in Italia “per motivi di salute”, senza venir mai scoperto.

 

L’Olterra.

 

Immaginate un porto in una città neutrale: Algeciras. Immaginate che questo porto sia un bellissimo terrazzo che si affaccia sul porto nemico: Gibilterra.  Immaginate quindi che all’interno di una baia (quella di Gibilterra) un esiguo braccio di mare divida un porto neutrale (con un governo non troppo ostile) ove i controlli erano auspicatamente lievi ed un porto nemico ove le misure di sicurezza erano sempre più strette, anche in maniera direttamente proporzionale ai successi degli incursori italiani.

Nel maggio del 1942 Antonio Ramognino, un civile inquadrato nella X MAS, ebbe l’idea di utilizzare una nave mercantile italiana che la guerra aveva sorpreso nel porto di Algerciras. La nave era sottoposta ad un regime di vigilanza da parte della polizia spagnola, ma ciò non impedì agli incursori italiani di svolgere una serie di lavori di trasformazione che  comportarono un’apertura nello scafo, sotto il livello di galleggiamento, per consentire l’accesso e la fuoriuscita di operatori della X MAS in maniera del tutto occulta.  In questo modo la Regia Marina evitava le missioni di trasporto tramite i sommergibili che diventavano sempre più rischiose. Bastava inviare operatori e mezzi d’assalto (smontati) in Spagna e utilizzando sia l’Olterra, sia Villa Carmela (un casale vicino Algeciras dal quale si riusciva dominare la baia di Gibilterra) si potevano lanciare incursioni con estrema precisione e al momento giusto.  Numerose missioni vennero svolte con questa modalità e visto che la Royal Navy non aveva compreso da dove venissero lanciati gli incursori in molti casi furono coronate da successo.  Purtroppo nessuna di queste riuscì a ripetere il successo di Alessandria, visto che gli operatori della “decima” affondarono sempre delle navi da carico.  Solo una volta si rischiò di assestare un duro colpo agli inglesi. Era l’8 dicembre del 1942 ed era passato quasi un anno dall’operazione di Alessandria che, complice la conquista Alleata del Nordafrica, il porto di Gibilterra era pieno di navi da guerra.  Gli uomini della X MAS tentarono di approfittarne. Uscirono dall’Olterra a bordo di 3 SLC con l’obiettivo di attaccare la corazzata Nelson  (una nave armata con cannoni da 406mm), e le portaerei Furios e Formidable. Ormai la flotta italiana non usciva quasi più dai porti per scarsezza di nafta e sarebbe stata un’ occasione d’oro per indebolire le forze nemiche. Dei sei uomini che parteciparono alla missione, ben tre furono uccisi dalle bombe di profondità lanciate periodicamente dagli inglesi come misura di sbarramento, due furono scoperti dalla luce dei proiettori e si arresero (fecero credere agli inglesi di essere stati sbarcati da un sommergibile), mentre il sesto operatore riuscì a rientrare all’Olterra con il suo SLC.

 

Le attività svolte dalla X flottiglia MAS durante la seconda guerra mondiale furono quelle che in termine di costo/efficacia causarono più danni alle forze inglesi.  Per tutta la durata della guerra nessuna nave maggiore o sommergibile della Regia Marina riuscì mai ad affondare una corazzata nemica, mentre anche l’affondamento di navi di media importanza come gli incrociatori si verificarono solo ad opera di naviglio sottomarino, ma mai a causa di scontro di superficie. 


Bibliografia:  


Storia della II GM – Volume 4 -  Rizzoli - Milano 1967

 Tutta la Seconda Guerra Mondiale vol 1 – Selezione dal Readers Digest S.p.a – Milano 1975 

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