martedì 5 settembre 2023

RUGGIERO DA FLOR: UNA STORIA DA CINEMA

 di Fabio Bertinetti

Figlio di un nobile della Turingia, Ruggiero da Flor, nasce intorno al 1268 (la data non è certa) nella città di Brindisi.  Il Padre non è italiano e il suo cognome in realtà è Vom Blum.  Come spesso succedeva nel medioevo i cognomi stranieri (e particolarmente ostici nella pronuncia) venivano italianizzati, quindi la trasformazione in Da Flor (o Dal Fiore) fu un percorso quasi naturale. Probabilmente non solo per esigenze di pronuncia avvenne l’italianizzazione del cognome, ma anche per la necessità di liberarsi di un eredità scomoda: la discendenza germanica.  Oltre ad essere un nobile di origine tedesca, il padre di Ruggiero era anche il falconiere di Federico II di Svevia e il suo legame con la dinastia Hohenstaufen proseguì anche dopo la morte dell’imperatore, infatti rimase al servizio del nipote di Federico, Corradino di Svevia, e trovò la morte nel 1268 nella famosissima battaglia di Tagliacozzo. Da quel momento l’egemonia sul meridione d’Italia passò alla dinastia francese degli Angioini che si insediarono sui possedimenti svevi.

Per Ruggero e la madre (una nobildonna brindisina) non fu un bel momento, visto che i possedimenti di famiglia vennero confiscati dai nuovi padroni, e il ragazzo si trovò a vivere in condizione di miseria.  Il porto diventa la sua nuova casa e sembra che il giovane Ruggiero non si fece affatto scoraggiare dagli eventi che lo condizionarono. Come ci racconta Claudio Rendina:”Ruggiero passa la sua povera fanciullezza bighellonando tra i vicoli del porto ovvero attaccando discorso con i marinai delle navi che fanno scalo; salta sulle impalcature, rovista nelle stive, fiuta il piacere di viaggiare. Segue quei marinai per bettole e bordelli, dà una mano a scaricare, racimola qualche soldo, impara i termini marinari, si mostra spavaldo e ben prestante. Insomma tanto fa che riesce a convincere il comandante provenzale di una galera di Templari a prenderlo a bordo a soli dieci anni; la madre acconsente e addio Brindisi!”[1]

Sarà per la sua voglia di riscatto, sarà per una sua predisposizione a prescindere, il ragazzo si impegna con tanto entusiasmo da fare una “carriera” straordinaria: a 15 anni è il miglior mozzo della ciurma, a venti anni il Gran maestro gli impone il mantello dei Templari, nominandolo “frate servente” e pochi mesi dopo ottiene addirittura il comando di una nave tutta sua: il Falcone. Da una prospettiva di vita misera e piena di rimpianti il giovane Ruggiero si trova ad avere una posizione autorevole all’interno di una comunità rispettata e temuta.  Niente male!

A questo punto, però, il giovane Ruggiero mostra tutte le sue inclinazioni che non sempre sono virtuose. All’indiscusso coraggio e alla voglia di scoperta si uniscono anche ambizione e spregiudicatezza che lo porteranno ad essere il prototipo di quei capitani di ventura che caratterizzeranno il panorama europeo e, specialmente, italiano nei successivi duecento anni. Nel maggio del 1291 si trova a difendere San Giovanni d’Acri dall’assedio dei Mamelucchi. Siamo all’atto finale dell’epopea delle Crociate e la cittadina in Terra Santa è difesa anche dai Cavalieri Teutonici, Ospitalieri e, appunto,  Templari.  In più circa 14000 fanti 1300 sergenti appiedati.[2]

Le forze musulmane sono  preponderanti (circa 160.000 uomini) e la città dopo quasi due mesi di assedio e di attacchi alle possenti mura, cade.  Come spesso accadde nell’antichità, i vincitori si dedicarono al saccheggio e alle uccisioni (e questo successe indipendentemente dalla fede del vincitore, basti pensare ai saccheggi dei Cristianissimi spagnoli durante il sacco di Roma del 1527) e in questo trambusto il nostro intraprendentissimo Ruggiero si incaricò di mettere in salvo l’oro dei templari.  Evidentemente, però, non riconsegnò il tesoro a nessuno visto che in breve venne espulso dall’ordine e denunciato al pontefice.  A questo punto, anche se spogliato del mantello dei Templari, Ruggiero non si perse d’animo: si reca a Genova dove recluta uomini, acquista alcune galee (indovinate con quale denaro?) e si mette al servizio della famiglia Ticino Doria per scortare le sue navi nel pericoloso mediterraneo e per, a tempo perso, dedicarsi alla guerra di corsa.[3]

Anche se l’attività rende, il nostro protagonista si mette alla ricerca di altro. E’ un uomo, ormai, ed anche piuttosto ambizioso. Da molti anni è in corso la guerra del Vespro tra gli angioini e gli aragonesi. La posta in gioco è il possesso della Sicilia. Ruggiero si reca dapprima a Napoli per mettersi al servizio di Carlo D’Angiò lo zoppo, figlio di quello stesso Carlo I che ridusse in miseria la sua famiglia.  Il Da Flor, però, non serba rancore. E’ piuttosto pragmatico e pensa ai soldi che potrebbe guadagnare al suo servizio e magari cancellare la persecuzione pontificia (Bonifacio VIII è dalla parte degli angioini in questa contesa).  Putroppo i piani di Ruggiero si infrangono sul rifiuto di Carlo, ma lui non si dispera, non si strugge, non si arrende. La guerra ha due contendenti e se il primo rifiuta ci si può sempre offrire al secondo.

In breve viene aggregato alla flotta di Federico d’Aragona e si occuperà di creare lo scompiglio attorno alle coste siciliane esercitando una guerra di corsa. Nel 1297 diventa vice-ammiraglio, è ammesso al real-consiglio e viene nominato feudatario di due castelli a Malta. Non solo le nomine regie, ma anche e soprattutto la sua attività da corsaro gli procurano ingenti ricchezze e una flotta personale. Il suo equipaggio era composto da marinai e soldati catalani (che non lo accompagnarono solo nell’impresa siciliana, ma anche nelle successive,diventando la compagnia catalana noti anche come Almovari) che alla fine condivisero con il loro capitano una triste sorte. Non ora però, non durante la guerra del vespro dove riuscirono a coprirsi di gloria grazie anche ad azioni come quella che nel 1301 gli consentì di forzare il blocco navale contro Messina (complice una tempesta che scompaginò la flotta angioini) e rifornire la città, vanificando di fatto l’assedio.

L’anno successivo, purtroppo per lui e per i suoi uomini, la pace di Caltabellotta pose fine alla guerra e li lasciò, seppur temporaneamente, disoccupati.  

Probabilmente Ruggiero non aveva bisogno di accumulare ulteriori ricchezze, ma i suoi uomini si. Ormai il legame con lor era piuttosto forte. No  si trattava solamente di masnadieri arruolati al bisogno, ma di un prodromo di quelle che poi saranno le compagnie di ventura. Probabilmente anche il bisogno di avventura e l’ambizione già descritta (oltre al fatto di tenersi buoni gli uomini) consigliarono il Da Flor di cercare dei nuovi contratti.  Con il permesso di Federico d’Aragona invio due legati a Costantinopoli per “saggiare il terreno” e per valutare se ci fossero le condizioni per militare al soldo dell’imperatore bizantino Michele IX Paleologo. La risposta fu positiva e il nostro eroe lascierà per sempre i campi di battaglia italiani per trasferirsi ad oriente. Stipulò un vero e proprio contratto. Non siamo ancora alla tipizzazione della “condotta” , ma si trattò di un accordo piuttosto preciso, specie per quanto riguarda le condizioni economiche: “[…]si stabiliscono quattro once d’oro di soldo al mese agli uomini d’arme, due ai cavalleggeri, quattro ai capitani di ciurma, una ai nocchieri e pedoni, 20 tarì ai balestrieri:le paghe anticipate di quattro mesi: due mesate oltre il servito a chi poi volesse tornare in patria. A Malvasia fossero pronti i viveri e le prime paghe.[4]

Non solo compensi economici. A Ruggiero viene assicurata la nomina di Capitano  del mare e la mano della principessa  Maria, figlia del re Azan di Bulgaria.

Ancora una volta il nostro capitano riesce ad “alzare l’asticella”, a salire un ulteriore gradino sociale. Probabilmente avrà pensato di non avere alcun limite davanti a se.

Dal punto di vita militare l’avventura va a gonfie vele. Dal 1303 e per i due anni successivi  sconfigge i genovesi a Galata e i turchi a Cizico e Filadelfia. Il legame con i suoi uomini è sempre più forte, al punto che si offre di pagare i debiti che, inevitabilmente, avevano contratto a Costantinopoli.

Forte, deciso, spregiudicato,ambizioso, amato dai suoi uomini. Una storia del genere non poteva che finire con il ferro delle spade, specie in una corte intrigante come quella di Costantinopoli. Nell’aprile del 1305 la sua vita venne interrotta da una pugnalata alle spalle durante un banchetto nel palazzo imperiale di Adrianopoli. Non solo lui, ma anche molti dei suoi uomini caddero in quello che fu un agguato teso ad eliminare anche tutta la sua compagnia. Alcuni riuscirono a fuggiree decisero di vendicarsi mettendo a ferro e a fuoco Tracia e Macedonia.


[1] Claudio Rendina “I capitani di ventura” Universale storica Newton 2004 pag 29

[2] Georges BordonoveXII. La cupola di Acri, in Le Crociate e il regno di Gerusalemme, Milano, Bompiani, 2001, p. 419

[3] Claudio Rendina “I capitani di ventura” Universale storica Newton 2004 pag 30

[4] Ibidem pag 31

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